venerdì 27 febbraio 2009

Prima domenica di Quaresima


art. pubblicato su GALLURA & ANGLONA, XVII, 4 del 25 febbr. 2009



La prima domenica di quaresima tende a completare nella celebrazione del mistero quanto già ci viene anticipato nel mercoledì delle ceneri e ci accompagna a meditare sulle particolarità di questo tempo di grazia.
La colletta della messa ci da delle indicazioni importanti che diventano richiesta a Dio circa la nostra condotta cristiana. Si parla di quaresima quale segno sacramentale della nostra conversione. È utile però ricordare cosa si intende per sacramentali: essi sono segni sacri per mezzo dei quali […] sono significati e […] vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita (cfr. Sc 60 e CCC 1667-ss).
La petizione è introdotta dal verbo “concedi” viene amplificata con la finalità di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo, per testimoniarlo in una degna condotta di vita. Si chiede cioè che il tempo di quaresima non rimanga finalizzato alla penitenza, ma ha come suo fine principale conoscere il mistero del Cristo per esserne testimoni con la nostra vita.
L’autore dell’antica colletta, che troviamo tale e quale nel Sacramentario Gelasiano vetus num. 104 (sec. VIII), pone come primo obiettivo della quaresima la conoscenza del mistero (ad intellegendum Christi arcanum) come passaggio obbligatorio per fare una buona celebrazione della Pasqua. Indubbiamente il testo risente del fatto che all’epoca della composizione la Quaresima era il tempo catecumenale per eccellenza, quindi il periodo di digiuno che preparava al battesimo portando il catecumeno all’intelligenza dei misteri cristiani per poi testimoniarli nella sua vita.
L’incontro della comunità con il Cristo risorto è sostenuto in questo tempo dal deserto.

Il binomio quaresima-deserto è quindi particolarmente adatto per il cristiano che si pone alla ricerca di Dio. Non a caso l’anno liturgico in corso ci presenta nel ciclo B la pericope di Mc 1,12-15, dove Gesù dopo il battesimo viene sospinto nel deserto dallo Spirito. Ma quale può essere il deserto ai nostri giorni? Forse la maggior parte dei cristiani è legata ad un’accezione ecologica indicante caldo torrido e distesa sabbiosa… per cogliere in pienezza la portata semantica di questo lemma sarebbe opportuno scorrere tutto l’Antico Testamento, dove diverse volte il popolo di Israele si trova a fare i conti con la vasta realtà celata sotto il termine deserto. Per brevità possiamo dire che il deserto diventa provvisorietà in attesa della terra promessa, è luogo di tentazione e di mormorazione, di incredulità e di castigo, di scoraggiamento, di peregrinazione, di attesa e di veglia, nel deserto si sperimenta la guida e la protezione di Dio. Altresì è il luogo del fidanzamento di Israele con Jahvé, nel quale Dio ci attira per parlare al nostro cuore, è il luogo in cui siamo soli con noi stessi e incontriamo Dio, è il luogo della teofania. Umanamente vuol dire ritornare all’essenzialità, fare esperienza della solitudine in un luogo in cui ci siamo solo noi, il cielo e la terra. Nel deserto l’uomo viene messo a nudo e mette alla prova la sua voglia di vivere.
Il binomio quaresima-deserto ci riporta a rientrare in noi stessi per cercare il primo Adamo, o meglio ancora per riscoprire la nostra dignità di battezzati.
Un altro elemento importante al quale ci richiama il Vangelo di questa domenica è il digiuno. Il Santo Padre dedica tutto il suo messaggio per la quaresima 2009 a questa pratica penitenziale suggerendo alla cattolicità che «poiché tutti siamo appesantiti dal peccato e dalle sue conseguenze, il digiuno ci viene offerto come mezzo per riannodare l’amicizia con il Signore». In questo tempo di preparazione alla Pasqua lasciamoci trasportare dal messaggio della liturgia con il quale la Chiesa, madre e maestra, ci porta a contemplare e a vivere la bontà di Dio. Se nella nostra vita di fede passasse l’idea che i 40 giorni che ci preparano alla pasqua non sono solo privazione e penitenza, ma è tempo di conversione, confessione, ritorno e perciò mutamento dalla tristezza dovuta al rimorso alla gioia della vita nella grazia, il canto dell’alleluia la notte di Pasqua avrà un altro sapore… avrà il gusto della salvezza donata dal Padre in Cristo.

mercoledì 25 febbraio 2009

L'ITINERARIO QUARESIMALE
dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo… dalla testa ai piedi


riflessioni di un cristiano


art. pubblicato su GALLURA & ANGLONA, XVII, 4 del 25 febbr. 2009



Non sempre abbiamo la giusta considerazione della liturgia nella sua globalità e di come avvolga l’essere umano nella sua corporeità. Il cammino quaresimale attraverso l’ordinarietà della celebrazione vuole guidare l’uomo per «ritus et preces» ad una purificazione generale che lo pervada anche fisicamente. Questo avviene mediante il segno dell’imposizione delle ceneri nel mercoledì che apre l’itinerario quaresimale e attraverso la lavanda dei piedi che lo conclude nel giovedì santo.
Il cospargersi di cenere è allora, il segno ancestrale del lutto e del dolore, unito ai sentimenti di caducità e di penitenza. Aprendo la quaresima ci viene ricordato nelle due formule liturgiche l’accorato appello alla conversione ed al ricordo che «siamo polvere e polvere ritorneremo». Questa azione rituale ci riporta all’antica liturgia del rito romano, allorquando nel mercoledì che precedeva la prima domenica di quaresima chi aveva peccati gravi da scontare riceveva dal vescovo di Roma (il papa) la penitenza pubblica e veniva inserito nella «classe dei penitenti». Durante il tempo della penitenza la comunità pregava per chi doveva espiare i peccati. Trascorso il tempo stabilito dal vescovo, nel giovedì santo i penitenti venivano riammessi alla comunione ecclesiale con una apposita celebrazione. Motivo per cui il rito romano conosce tre celebrazioni per il giovedì santo: una al mattino per la riconciliazione dei penitenti, una a metà mattinata per la consacrazione degli oli e una al vespro per la commemorazione della Cena del Signore.
Il nostro messale attuale, frutto della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, ci propone di concludere la quaresima con il gesto della lavanda dei piedi, segno di carità ma anche di purificazione ( si vedano i testi del Vangelo di San Giovanni). La lavanda dei piedi ha un’origine molto antica: già sant’Agostino ne parla nei suoi scritti. Nel corso dei secoli questo rito rimane legato alla liturgia cattedrale fino a quando Pio XII, nella riforma della settimana santa del 1955, ne permette la celebrazione in tutte le chiese. Sebbene il rito tenda alla drammatizzazione e rievocazione della passione di Nostro Signore dobbiamo ricordare che si pone chiaramente come cerniera tra la quaresima ed il triduo sacro.
Ancora una volta la Chiesa predispone per i suoi figli un percorso ricco di segni sensibili nella speranza che ogni celebrazione sia per ciascuno unica ed irripetibile. Ogni anno ci viene data la possibilità di vivere in pienezza il tempo favorevole dei giorni della salvezza. Spetta a noi riconoscere i segni del passaggio di Dio nella nostra vita.




O Dio, nostro Padre, concedi, al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male. Per il nostro Signore.

Concéde nobis, Dómine, praesídia milítiae christiánae sanctis inchoáre ieiúniis, ut, contra spiritáles nequítias pugnatúri, continéntiae muniámur auxíliis. Per Dóminum. Benedictio et impositio cinerum