venerdì 17 agosto 2007

Sant’Isidoro agricoltore

Sant’Antonio di Gallura, 24 settembre 2005.I
Lv 19, 1-2.17-18 (p. 732 Lez dei santi)
Sal. 14. Chi ama il fratello dimora in te, Signore
Gc 2, 14-17 (p. 798)
Mt 5, 13-16 (p. 812)


Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo (cfr. Mt 5,15).
Dicendoci questo il Signore Gesù, poco dopo aver enunciato le beatitudini, dette la magna charta del cristiano, ci esorta a distinguerci nella terra e nel mondo.
Questo fece sant’Isidoro l’agricoltore.
Cosa sappiamo di lui? si sa che nasce a Madrid intorno al 1070 e lasciò giovanissimo la casa paterna per essere impiegato come contadino. Grazie al suo impegno i campi, che fino allora rendevano poco, diedero molto frutto. Magari lavorasse duramente la terra, partecipava ogni giorno all'Eucaristia e dedicava molto spazio alla preghiera. Tanto che alcuni colleghi invidiosi lo accusarono, peraltro ingiustamente, di togliere ore al lavoro. Quando Madrid fu conquistata dagli Almoravidi (una dinastia musulmana) si rifugiò a Torrelaguna dove sposò la giovane Maria. In seguito proclamata beata e conosciuta come Maria Toribia de la caveza. Un matrimonio che fu sempre contraddistinto dalla grande attenzione verso i più poveri, con cui condividevano il poco che possedevano. Nessuno si allontanava da Isidoro e da Maria senza aver ricevuto qualcosa. Isidoro muore il 15 maggio 1130. Viene canonizzato il 12 marzo 1622 da Papa Gregorio XV.
Nasce in una Spagna che per buona parte è in mano araba perciò se vogliamo in una società fortemente ostile alla manifestazione della fede cristiana. Nonostante tutto però non si vergogna mai di essere cristiano, non si stanca di far vedere che crede: il cristianesimo di Isidoro non è tiepido, sdolcinato… non è una religione fai da te. Parte dall’altare, dalla Messa a cui partecipa ogni giorno e si fa espressione concreta di carità verso i più poveri. Lui con Maria,sua moglie, condividono tutto con chi ha meno di loro.
Durante la giornata si vede spesso Isidoro inginocchiato nel campo, per terra, là dove si trova a pregare. Questo fatto gli tira addosso le accuse infamanti di altri salariati come lui che dicono che ha poca voglia di lavorare, perde tempo, sfrutta le nostre fatiche.
Era già successo nelle campagne di Madrid; poi continua a Torrelaguna, e più tardi a Madrid ancora, quando lui vi ritorna alla fine dei combattimenti. A queste accuse Isidoro non si ribella, ma neppure si piega. Il padrone decide di vigilare sulla condotta di questo lavoratore e verifica i risultati. Ebbene scopre che Isidoro ha sì perso tempo inginocchiandosi ogni tanto a pregare, ma che alla sera aveva mietuto la stessa quantità di grano degli altri. E così al tempo dell’aratura: tanta orazione pure lì, ma a fine giornata tutta la sua parte di terra era dissodata.
Juan de Vargas si chiama questo proprietario, che dapprima tiene d’occhio Isidoro con diffidenza; ma alla fine, toccata con mano la sua onestà, arriva a dire che quei risultati non si spiegano solo con la capacità di lavoro; ci sono anche degli interventi soprannaturali: avvengono miracoli, insomma, sulle sue terre.
E altri diffondono via via la voce: in tempo di mietitura, il grano raccolto da Isidoro veniva prodigiosamente moltiplicato. Durante l’aratura, mentre lui pregava in ginocchio, gli angeli lavoravano al posto suo con l’aratro e con i buoi. Così il bracciante malvisto diventa l’uomo di fiducia del padrone, porta a casa più soldi e li divide tra i poveri. Né lui né sua moglie cambiano vita: è intorno a loro e grazie a loro che la povera gente incomincia a vivere un po’ meglio.
Alcune cose oggi ci fanno sorridere, ma ci indicano la sensibilità d’animo di questo santo. Per esempio, quando d’inverno si preoccupa per gli uccelli affamati: e per loro, andando al mulino con un sacco di grano, ne sparge i chicchi a grandi manciate sulla neve; ma quando arriva al mulino, il sacco è di nuovo prodigiosamente pieno.
Lavorare, pregare, donare: le sue gesta sono tutte qui.
Nel 1622, Isidoro l’Agricoltore viene canonizzato da Gregorio XV (con Ignazio di Loyola e Francesco Saverio). Nel 1697 papa Innocenzo XII proclama beata sua moglie Maria Toribia.
Questa è la vita di sant’Isidoro. Niente di eccezionale.
Era un contadino, come tanti di voi…
Era sposato, come tanti di voi…
Credeva in Dio, come voi…
Pregava, come voi…
Amava il prossimo, come voi…
È però stato riconosciuto dalla Chiesa come santo. È stato un uomo che ha sviluppato nella sua vita il richiamo di Dio, che abbiamo sentito nella lettura dal libro del Levitino:«Siate santi, perché io sono santo» (cfr. Lv 19, 1-2). Poi ha vissuto quello che noi oggi abbiamo pregato nel salmo responsoriale: Chi ama il fratello dimora in te, Signore. E poi si è reso conto i essere il sale della terra e la luce del mondo.
Lasciatemi però fare qualche applicazione con i nostri tempi. Mi preme anzitutto ricordare una cosa: la società spagnola alla fine dell’undicesimo secolo era tutt’altro che cristiana e cattolica, ma Isidoro si distingue… e mentre altri combattono con le armi lui si inginocchia e prega. Vive di una fede semplice, schietta e sincera.
È un lavoratore onesto che nono toglie nulla né al suo lavoro né a chi lo paga.
Condivide tutto con chi è meno fortunato di loro.
Una famiglia modello possiamo dire, tanto che già dal sedicesimo secolo viene additata come modello.
Concludendo allora vi ricordo questi tre verbi che fanno di un contadino e di un uomo onesto un santo: Lavorare, pregare, donare (meglio condividere).
Se crediamo veramente nella comunione e nell’intercessione dei santi, allora affidiamo i campi, gli animali, noi stessi, le nostre famiglie e questa comunità a sant’Isidoro. E chiediamo a Dio che per sua intercessione siamo capaci di pregare in qualsiasi posto in cui ci troviamo, di lavorare onestamente e di esser capaci di condividere con i meno fortunati i nostri averi.
Questo è il mio augurio, questa la mia preghiera per ciascuno di noi.


lunedì 6 agosto 2007

il limbo... c'è o non c'è?

Don Efisio Coni

art. pubbl. su S'Isperiadolzu di luglio 2007





L’immaginario collettivo, vittima della fantasia dantesca colloca con facilità le anime in un mondo ultraterreno ben strutturato. Pensando a Dante dobbiamo dire che nel IV canto dell’Inferno ritrovandosi nel primo girone, ci parla del limbo come luogo in cui dimorano le anime di coloro che morirono prima di ricevere il battesimo o che vissero prima di Cristo e che quindi, benché non siano prive di meriti, non possono aspirare alla salvezza. Lasciamo dante e pensiamo che nel gergo comune l’espressione “limbo” è usata in senso figurato per indicare uno stato o una condizione non ben definita, di incertezza.
Ma che cosa è il limbo? La teoria del limbo prende corpo nel XIII secolo, senza diventare mai un vincolo dottrinale per la Chiesa. Alcuni concili ecumenici dell’antichità hanno concluso che «le anime di coloro che muoiono in peccato mortale attuale o nel solo peccato originale scendono subito all’Inferno ma puniti con pene differenti» (Concilio di Firenze , bolla Laetentur Coeli). Uno dei pochi che nell’antichità porta avanti questa dottrina è Sant’Agostino, il quale afferma che i bambini non ancora battezzati fossero destinati alle fiamme dell’inferno anche se “fiamme mitissime”. Dopo alcuni secoli il Catechismo maggiore di San Pio X recita: «I bambini morti senza Battesimo vanno al limbo, dove non è premio soprannaturale né pena; perché, avendo il peccato originale, e quello solo, non meritano il Paradiso, ma neppure l’Inferno e il Purgatorio». Naturalmente questa non è una definizione dogmatica, ma una “sistemazione” per queste anime.
Il grande polverone sollevato di recente riguarda una tematica affidata dal Papa ad un gruppo di studiosi che formano la Commissione Teologica Internazionale (di cui fa parte anche l’arciv. di Oristano mons. Ignazio Sanna) con il compito di studiare quella che è detta chiaramente nel documento una «ipotesi teologica». La conclusione dello studio è che vi sono ragioni teologiche per motivare la speranza che i bambini morti senza battesimo possano essere salvati ed introdotti all’eterna visione beatifica di Dio, forti del fatto che il limbo non è una verità rivelata (e aggiungo nemmeno accennata nelle diverse apparizioni della Madonna dove si parla di Inferno, Paradiso e Purgatorio). Rimane però un’ipotesi teologica possibile. Come si nota, la stessa Commissione afferma che questa nuova ipotesi si affianca alla precedente del Limbo, senza gettarla nel discredito o, come molti hanno erroneamente sostenuto, “abolire” il limbo. Quindi il lavoro della Commissione, organismo costituito all’interno della Congregazione per la dottrina della fede, ha espresso una posizione del tutto simile in un documento ufficiale approvato da Papa Benedetto XVI e pubblicato il 20 aprile 2007. Si afferma infatti che il tradizionale concetto di limbo - luogo dove i bimbi non battezzati vivono per l’eternità senza comunione con Dio - riflette una «visione eccessivamente restrittiva della salvezza».
La decisione di questo studio è spiegata nello stesso testo che riporto:« In questi nostri tempi sta crescendo sensibilmente il numero di bambini che muoiono senza essere stati battezzati. Spesso i genitori, influenzati dal relativismo culturale e dal pluralismo religioso, non sono praticanti, ma questo fenomeno è anche in parte conseguenza della fecondazione in vitro e dell’aborto. Alla luce di questi sviluppi si ripropone con nuova urgenza l’interrogativo sulla sorte di questi bambini» (n. 2).
La liturgia della Chiesa, nella sua fase postconciliare ha predisposto un rito per le esequie dei bambini non battezzati in cui si affidano alla misericordia di Dio. Penso che anche noi dovremmo fare lo stesso e impegnarci nel rispetto e nella difesa della vita.
Per chi volesse consultare il documento
www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_con_cfaith_doc_20070419_un-baptised-infants_it.html

giovedì 2 agosto 2007

COMUNIONE

Mi riservo di elaborare una parte sul Canone e di esporla in altra sede.

Il MR del 1570 presenta per questa parte della celebrazione un sistema di riti e di preci molto articolato, soprattutto nella comunione e nel ringraziamento alla fine della Messa. Al termine del Pater Noster si assite ad un rito che risulta per noi inconsueto, ossia il sacerdote «manu dextera accipit inter indicem et medium digitos patenam, quam tenens super altare erectam, dicit secrete: signat se cum patena a fronte ad pectus» e prosegue con il «libera nos Domine». Lo scambio di pace viene posto prima dell’Agnus Dei. La comunione del sacerdote è preceduta da una preparazione con altre apologie e preghiere tratte dai salmi; l’attenzione è volta per lo più alla comunione di chi officia. Poi si dice che «si quis sunt comunicandi, eos communicet, antequam se purificet». Il «placeat tibi» dopo il congedo e prima della benedizione è la prima delle preghiere, a cui segue la lettura del prologo del Vangelo di san Giovanni. Con questo finisce la celebrazione ai piedi dell’altare. Il sacerdote, rientrando in sagrestia fa il suo ringraziamento con l’antifona «Trium puerorum» a cui seguono il cantico di Daniele (Dn 3, 57-88. 56) ed il Salmo 150. La spiritualità e la devozione del sacerdote sono aiutate ulteriormente da altre preghiere alla SS.ma Trinità, a N.S. Gesù Cristo, alla Vegine Maria ed ai santi.

Il MR del 1970 esordisce con una novità: ossia che il sacerdote «una cum populo» prega il Pater Noster, poi il popolo conclude la preghiera «Libera nos, quæsumus» con l’acclamazione «quia tuum est regnum». Lo scambio della pace coinvolge anche chi non presiede, ossia si parla di «omnes» che «iuxta locorum consuetudines, pacem et caritatem sibi invicem significant» mentre il sacerdote «pacem dat diacono vel ministro». La preparazione alla Comunione viene fatta insieme dal sacerdote e dai fedeli, tant’è vero che si appunta «sacerdos una cum populo dicit Domine, non sum dignus». La comunione, semplificata nei riti e nelle apologie, viene distribuita ai comunicandi che si muovono dal loro posto e vanno a riceverla. La celebrazione si sposta poi dall’altare alla sede, luogo in cui era iniziata da dove, prima del congedo, si da la possibilità di fare brevi annunci (per lo più di carattere pratico!). Seguono l’orazione e la benedizione. Il congedo del diacono o del sacerdote concludono la celebrazione della Messa, sebbene è importante far notare che il Messale non cancella le preghiere di ringraziamento, anzi le consiglia caldamente.

OFFERTORIO


Nel MR 1570 si parla di offertorium che ha inizio subito dopo la professione di fede, introdotto dall’offertorium: una antifona salmica che introduce la preparazione dei doni. Quest’ultima appare lunga e complessa: comprende infatti la preparazione dei doni e la presentazione a Dio mediante apposite preghiere. L’incensazione ed il lavabo è accompagnato da preghiere e salmi. Mi pare importante far notare anche qui l’assenza della partecipazione dell’assemblea che rimane in passivo silenzio durante tutto l’offertorio, anche per l’incensazione dopo quella delle oblate e del sacerdote si dice, infatti, «postea incensatur sacerdos a diacono, deinde alii per ordinem».
http://www.youtube.com/watch?v=aQK8d6_o3sU&NR=1

Il MR 1970 dopo la lettura del Vangelo e prima della professione di fede pone l’omelia, quale momento che “dovrebbe” far parte della sezione chiamata «Liturgia Verbi». Alla Professione di fede segue la «oratio universalis seu oratio fidelium» quale novità nell’ordo Missaæ. Il termine «offertorium» che nel MR del 1570 designava la parte che segue, viene ora chiamato «liturgia eucharistica», nella rubrica si aggiunge che «expedit ut fideles participationem suam oblationem manifestent, afferendo sive panem et vinum, ad Eucharistiæ celebrationem, sive alia dona, quibus necessitatibus Ecclesiæ et pauperum subveniatur», realtà totalmente assente nell’ordo del 1570.

I riti iniziali

Per ovvie ragioni non riporto le parti dei due Messali... è un lavoro su due colonne.



Il MR 1570 presenta una «preparatio ad Missam» più prolungata e dettagliata che accompagna il sacerdote fino all’altare, davanti al quale continua la sua «preparatio» mediante una nutrita serie di apologie e di salmi. Le preghiere riservate alla vestizione rivelano una tradizione allegorica, secondo la quale ogni paramento ha un suo significato specifico (es. per la pianeta o la casula si parla di jugum, etc.). In questo Messale non si fa menzione esplicita dell’assemblea (nel MR 1970 populus), ma il sacerdote celebra nel dialogo con un ministro o con i ministri presenti. Altre peculiarità sono le differenze nel Confiteor, più ricco di intercessori e la sua doppia natura: per il celebrante e per i ministri. L’assoluzione, duplice, varia in parte.
Il MR 1970 viene alleggerito dei salmi posti all’inizio della preparatio e di molte apologie, ne rimangono solo quattro, e «pro opportunitate»; scompaiono altresì le formule durante la vestizione dei paramenti. A differenza del MR 1570 che esordisce «sacerdos paratus» la nuova mens, scaturita dal Vaticano II, dice «populus congregato» e solo dopo si parla di «sacerdos paratus». Mancano il salmo 42 e tutta la preghiera ai piedi dell’altare, si inizia direttamente con il segno di croce. Viene data al sacerdote l’opportunità di variare la formula dell’atto penitenziale e di introdurre la celebrazione con parole adatte.

Condivisione

Voglio condividere alcune parti di un lavoro sul Missale Romanum eseguito durante il periodo di specializzazione in liturgia presso il Pontificio Istituto Liturgico.